LA SCRITTURA CINESE
Spesso quando si parla del cinese, la prima cosa che ci si chiede è se esista un alfabeto e che cosa siano quei misteriosi ‘segni’ esteticamente bellissimi e intricati che appaiono sui testi. Comunemente essi vengono indicati come ‘ideogrammi’ ma, di fatto, questa definizione è quantomeno impropria: infatti, gli ideogrammi non sono altro che un sottogruppo della categoria più grande dei caratteri cinesi.
Semplificando molto e con una buona dose d’approssimazione, si può dire che in cinese ogni carattere corrisponda a un morfema: cioè a un’unità linguistica dotata di significato. Il cinese è perciò una lingua logografica: per scrivere una parola servono uno o più caratteri.
Il carattere è uguale per tutta la Cina e non contiene in sé nessuna indicazione sulla pronuncia. Questo è il motivo per cui la scrittura ha svolto una grande opera di aggregazione a livello storico: indipendentemente dalla lettura (che può essere diversa a seconda del dialetto della zona), il significato e la grafia non cambiano. Scrivere è e resta sempre la miglior via per comunicare, anche attualmente.
I principi formativi dei caratteri nella scrittura cinese
Inizialmente, secondo i reperti archeologici di cui disponiamo, i caratteri venivano utilizzati come marchi distintivi da parte degli artigiani ma, già a partire dal III millennio a.C., vennero impiegati per scopi religiosi in brevi iscrizioni su ossa oracolari.
In epoca Zhou le ossa oracolari vennero sostituite con vasi rituali in bronzo: cambiando il supporto su cui si scriveva, cambiò anche la forma di scrittura. Con il passare delle epoche, la scrittura rivelò tutta la sua utilità nella registrazione di eventi ufficiali e nella stesura di cronologie imperiali: da una funzione religiosa si passava dunque a una funzione burocratica/politica. La scrittura divenne dunque letteratura (wenxue, lett. ‘studio dei caratteri’), intesa non come forma di intrattenimento ma di edificazione morale e di propaganda. In questo frangente, anche le regole calligrafiche andarono affinandosi e codificandosi, fino a proliferare in un fiorire di stili e tecniche diverse:
Lo studio sistematico della scrittura da parte dei cinesi iniziò alla corte degli Han, quando l’intellettuale Xu Shen redasse lo Shuwen Jiezi: testo in cui classificava i caratteri secondo i sei principi formativi (liu shu) menzionati nel classico confuciano “Riti dei Zhou” (Zhou Li).
Inizialmente distinse i caratteri in due grandi gruppi: i wen, ovvero i caratteri semplici non ulteriormente scomponibili e gli zi, i caratteri complessi formati dall’aggregazione di forme semplici.
Al gruppo dei wen appartengono le prime due categorie dei caratteri: gli ideogrammi semplici (rappresentazione astratta di concetti semplici come numerali e direzionali) e i pittogrammi (rappresentazioni visive di oggetti reali o di concetti).
Agli zi appartengono invece i quattro gruppi successivi: gli ideogrammi complessi (somma di due o più ideogrammi semplici e/o pittogrammi), i composti fonetici (formati da un elemento che dà un’indicazione di massima sulla pronuncia del carattere e da uno che ne accenna invece il significato), gli pseudo-sinonimi (coppie di caratteri che mantengono uno stretto legame semantico, fonetico e grafico) e i prestiti fonetici (caratteri già esistenti che vengono impiegati per contrassegnare un significato diverso rispetto a quello originario).
Questi sei principi rappresentano anche le tappe evolutive della scrittura cinese: nel cinese attuale la maggioranza dei caratteri appartiene al gruppo dei composti fonetici e degli ideogrammi complessi.
La composizione dei caratteri: i tratti
I caratteri sono definiti come unità grafiche composte da un numero variabile di tratti: ovvero le linee che possono essere tracciate senza staccare la penna (o il pennello) dal foglio.
Esistono 8 tratti fondamentali, dalla cui combinazione nasce una serie più o meno infinita di caratteri:
Ogni tratto deve essere vergato nella giusta direzione, seguendo un preciso ordine di successione che può essere sintetizzato nella regola aurea: “dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra”. Inoltre gli elementi interni dovrebbero essere sempre tratteggiati prima di quelli esterni e i componenti superiori prima di quelli inferiori. Questo principalmente per motivi estetici, ma anche perché seguire il giusto ordine di successione permette di memorizzare correttamente il numero dei tratti e la loro posizione, diminuendo il rischio di commettere equivoci ed errori. Infatti, sbagliare è facilissimo. Basta far ‘uscire’ dai confini un tratto o curvarlo nella direzione sbagliata per scrivere e indicare tutta un’altra cosa!
Es: niu (mucca), wu (orario intorno al mezzogiorno).
I caratteri sono dunque combinazioni di un numero variabile di tratti: si va dai caratteri più semplici formati da un solo tratto (es: yi ‘uno’) a quelli più complessi formati da più di 20 tratti.
I caratteri cinesi come emblema di cultura e forma d’arte: lo shufa
Data l’oggettiva difficoltà di apprendimento e di memorizzazione degli stessi, da sempre il numero dei caratteri conosciuti è metro di misura della cultura del singolo. Infatti, in epoca imperiale, conoscere la scrittura alla perfezione era una delle caratteristiche del buon funzionario mandarino, nonché una delle prove da superare per diventare un burocrate di tutto rispetto. Mentre la maggioranza del popolo restava nell’analfabetismo e usava il dialetto per comunicare, la corte e gli intellettuali si producevano in stili letterari e calligrafici tanto che, ben presto, la scrittura diventò una forma d’arte, lo shufa:
La scrittura cinese: caratteri tradizionali e caratteri semplificati
Nel XX secolo, a causa anche dell’incontro con la cultura occidentale, la Cina inizia a percepire il divario esistente tra la lingua parlata e la lingua scritta, basata su caratteri complicati utilizzati in uno stile retorico cristallizzato e obsoleto (wenyan).
Per questo motivo si avverte l’esigenza di modernizzare e semplificare la lingua, in particolare quella scritta: iniziano proposte e indagini da parte di vari studiosi, ma è solo durante il periodo maoista che si raggiungono risultati concreti. Nel 1956 si ufficializza il sistema di semplificazione dei caratteri, sulla base di cinque principi:
- 1) adozione di varianti corsive più semplici;
- 2) adozione di varianti arcaiche con un numero inferiore di tratti;
- 3) adozione di omofoni più semplici;
- 4) adozione di una sola ‘parte’ del carattere più complesso;
- 5) riduzione del numero dei tratti.
Inoltre viene adottato, come ausilio didattico, un sistema di trascrizione fonetica che utilizza simboli dell’alfabeto latino per suggerire la pronuncia dei caratteri: il pinyin. Infatti dal carattere, nella maggior parte dei casi, non si può trarre nessuna informazione sulla pronuncia della sillaba né tantomeno sul tono.
Attraverso la “campagna di alfabetizzazione delle masse”, che ha inizio a partire dagli anni ’50-’60 del ‘900, la scrittura semplificata inizia a diffondersi in maniera estesa in tutta la Repubblica Popolare Cinese, dove diventa ben presto l’unica forma di scrittura conosciuta. Il cinese in caratteri tradizionali e l’antico sistema di scrittura a colonne verticali vennero quindi abbandonati in favore di un sistema orizzontale che si leggesse da sinistra a destra (come quello usato in Occidente).
La situazione è però molto diversa a Taiwan, Hong Kong, Macao e in alcune zone del sud della Cina dove si continua a utilizzare il sistema tradizionale di scrittura e la forma non semplificata dei caratteri.
Rita Barbieri
Savevi che...
La scrittura cinese è composta da numerosissimi ideogrammi (circa 46.000), il che la rende molto complicata. Da uno studente giovane ci si aspetta che ne apprenda almeno 6.000, e che poi prosegua integrando quanto imparato durante il corso di studi. Gli scolari migliori arrivano a conoscere fino a 8.000 ideogrammi, un bravo professore di lettere ne sfoggia fino a 10.000. Nessun Cinese arriva mai a conoscerli tutti!