IL BUDDHISMO IN CINA

Il buddhismo in CinaLe prime testimonianze attendibili dell’arrivo del buddhismo in Cina risalgono al I-II secolo d.C., durante la dinastia Han. Attraverso la Via della Seta (che metteva in comunicazione la Cina con l’Asia centro-occidentale) e le rotte marittime, il buddhismo giunse in Cina dai diversi centri sparsi in tutta l’Asia, introducendo simultaneamente linee di pensiero, testi e idee appartenenti a correnti diverse.
Perciò inizialmente i cinesi non recepirono il buddhismo come una dottrina coerente, ma piuttosto come un conglomerato di insegnamenti diversi e a volte persino contradditori, tutti considerati parte integrante del messaggio del Buddha.
 
Un altro aspetto fondamentale fu la localizzazione geografica dei primi centri: infatti, mentre al nord proseguivano i contatti con i nuclei originari della dottrina buddhista e si poteva anche contare sull’arrivo di alcuni missionari che annunciassero pubblicamente i testi, al sud, a causa della lontananza, si sviluppò maggiormente una tendenza alla ‘sinizzazione’ del buddhismo. Inoltre i maestri cinesi non avevano accesso diretto alle fonti e spesso i missionari stranieri non conoscevano così bene la lingua cinese da poter tradurre in maniera fedele e accurata i sutra (1). Questo fece sì che, fin dagli inizi, il buddhismo cinese si ponesse come un mondo a sé stante, con caratteristiche peculiari specifiche.

Breve storia del buddhismo in Cina: la fase embrionale

A livello storico, lo sviluppo del buddhismo può essere diviso in cinque periodi principali: fase embrionale (prima metà del I sec. d.C.-300 d.C.), fase di formazione (300 d.C.-600 d.C.), fase della crescita indipendente (600 d.C.-900 d.C.), buddhismo nella Cina premoderna (X-XIX sec.) e buddhismo nella Cina moderna e contemporanea (fine del XIX sec.-XX sec.).
La fase embrionale riguarda l’introduzione del buddhismo in Cina, di cui non esiste una data convenzionale ma un periodo temporale in cui questa si realizza: il I secolo d.C., alla corte degli Han. Inizialmente si nota, dai pochi documenti che ci sono pervenuti, una stretta connessione tra la figura ‘divina’ del Buddha e il taoismo religioso, soprattutto con la corrente Huanglao (2).
LuoyangIn seguito, con l’arrivo di alcuni missionari stranieri a Luoyang nel II sec. d. C., abbiamo le prime versioni in cinese dei testi buddhisti, ancora poco accurate. Fondamentalmente essi riguardavano soprattutto la meditazione (dhyana), probabilmente perché somigliava ad alcune pratiche taoiste molto diffuse. Fu solo con la caduta degli Han (221 d. C.) e con la divisione territoriale della Cina in tre stati rivali (periodo dei Tre Regni 220-265 d. C.), che la dottrina buddhista cominciò a ritagliarsi un proprio spazio definito. Infatti in una situazione di caos e guerra incessante come quella che la Cina stava affrontando in quel momento, il concetto di transitorietà, sofferenza universale e retribuzione karmica (3) descritto dal buddhismo, iniziò a proporsi come spiegazione ultima della realtà e come via di salvezza relativamente più facile rispetto alle complicate tecniche taoiste.

Questo si deduce anche dall’aumento delle traduzioni: vennero introdotti i principali sutra della dottrina Mahayana (4): tra tutti il più importante, il Sutra del Loto (5). Ancora però non si erano formate le diverse teorie buddhologiche: i Buddha erano esseri divini potenti e compassionevoli e anche il sangha (ordine monastico buddhista) era piuttosto informe, le regole monastiche venivano trasmesse oralmente.
Nel III sec., a causa della frammentazione territoriale, cominciarono a delinearsi le caratteristiche regionali del buddhismo: mentre a nord, grazie al traduttore Dharmaraksa si diffuse il Sutra del loto e della vera dottrina (e il messaggio di salvezza universale che vi è contenuto (6)) e avvenne il primo pellegrinaggio da parte di un cinese al fine di acquisire il Prajnaparamita (7); al sud, a causa dei pochi contatti con l’Asia centrale e della grande influenza del traduttore Zhi Qian, si diffonde il culto di Amitabha (cinese Amituofo), il Buddha del paradiso occidentale. Secondo questa dottrina, chiunque concentri la propria mente sul Buddha che regna nella Sukhavati (cinese Jingtu, la ‘Terra Pura’) e reciti con sincerità il nome del Buddha, sarà salvato e dopo la morte rinascerà nella Terra Pura, dove raggiungerà il nirvana (8). Questo culto di origine indiana, incontrava alcune somiglianze con il culto taoista pregresso della “regina madre d’Occidente” (Xiwang mu), alla cui corte si rinasceva come immortali. La fede in Amitabha divenne comunque la base della scuola buddhista cinese della Terra Pura, la più diffusa ancora oggi a livello popolare.

La fase di formazione

Durante la fase di formazione, nel 300 d.C., si verificarono cambiamenti di grande importanza.
Il primo riguardava lo stato sociale dei buddhisti che, per la prima volta, facevano il loro ingresso nelle classi alte della società anche a causa degli stravolgimenti storici che la Cina stava subendo in quel momento. Con i nuovi appoggi monarchici, vennero eretti numerosi templi e monasteri finanziati dalla corte.
Anche il sangha riscosse maggiori consensi poichè si prefigurava come l’unico ente che offrisse una possibilità di ‘carriera’ alle classi meno abbienti e soprattutto alle donne. Questa fu un’innovazione enorme per la Cina dove, fino a quel momento, non era esistito niente di simile. Tra il IV e il V sec. molte donne entrarono nell’Ordine femminile buddhista, allettate dalla possibilità di ricevere un’educazione e di poter in qualche modo sfuggire al dominio maschile.
Nel 380 d.C, nella zona centromeridionale della Cina, il monaco Huiyuan fondò un importante monastero e iniziò ad approfondire i testi, sviluppando le teorie della scuola della Terra Pura. In particolar modo, aggiunse alla ripetizione del nome sacro del Buddha la pratica della visualizzazione: attraverso la contemplazione di una statua o di un’icona rappresentante la divinità, si poteva sperimentare la possibilità di incontrare il Buddha e di ricevere direttamente da lui gli insegnamenti. Approfondì anche le tecniche di meditazione ed è per queste sue importanti innovazioni che si considera Huiyuan come patriarca della scuola della Terra Pura.
Al nord, dove governavano le dinastie non cinesi, il buddhismo fu ugualmente favorito dalla corte, dato che i monaci venivano considerati come una sorta di ‘maghi’ capaci di assicurare prosperità e vittorie militari attraverso rituali e misteriose preghiere. Inoltre, assieme al taoismo, il buddhismo si presentava come una potente arma per controbilanciare il confucianesimo, l’ideologia cinese per eccellenza che minava potenzialmente le fondamenta della loro autorità.

Il buddhismo in CinaSempre in questo periodo, nel 402 d.C., arrivò in Cina, come prigioniero, il più grande traduttore di sutra: Kumarajiva che conosceva bene sia il cinese che il sanscrito. Dopo 18 anni di prigionia, venne liberato dal sovrano della dinastia Qin (fervente buddhista) e venne elevato al rango di ‘maestro nazionale’. Fu messo a capo di un imponente progetto di traduzione, che interessò prevalentemente i testi della scuola madhyamika della vacuità universale (9), apportando novità e approfondimenti che divennero fondamentali. Uno dei suoi discepoli, Daosheng, formulò per primo il concetto di ‘illuminazione improvvisa’ (10) che sarebbe poi diventato il tratto distintivo del buddhismo Chan.
Tra la seconda metà del V sec. e la prima metà del VI sec., nella zona settentrionale, regnò la dinastia mongola dei Toba-Wei, sotto la quale aumentò il patrocinio e il controllo governativo sul sangha, accusato dai confuciani di eccessiva mondanità al punto di persuadere la corte ad avviare persecuzioni organizzate prima nel 446 d.C., poi nel 576 d.C. Nel 589 d.C., la dinastia Sui, dopo secoli di frammentazione politica, riunificò la Cina e questa data segna anche la fine della fase di formazione del buddhismo cinese.

Fase di crescita indipendente: l’apogeo del buddhismo

Proprio durante la dinastia Sui (589-618) e la successiva dinastia Tang (618-906), si verificò l’apogeo del buddhismo in Cina: iniziò e si sviluppò la cosiddetta fase di crescita indipendente. Infatti, sotto la ritrovata unità imperiale, il buddhismo prosperò sia a livello popolare (affermandosi come il credo principale della maggior parte della popolazione) sia a livello statale, tanto che il fondatore della dinastia Sui utilizzò l’ideale buddhista del monarca universale (cakravartin (11)) per legittimare il proprio potere e, all’inizio della dinastia Tang, la famosa imperatrice Wu dichiarò esplicitamente di essere un bodhisattva (12) oltre che un cakravartin. Aumentò anche la supervisione statale sui templi (tra i cui compiti figurava anche quello di celebrare riti per far prosperare la dinastia e la nazione), al punto che, per garantire l’integrità morale del sangha e controllare il numero delle ordinazioni, venne introdotto il sistema degli esami clericali che assegnava a tutti coloro che li superavano dei ‘certificati d’ordinazione’ (una sorta di ‘passaporto’ religioso). Infatti lo status di monaco era molto ambito perché permetteva di non pagare le tasse, di essere esentati dal servizio militare e dalle corvées di lavoro.
 
In questo periodo fiorirono anche i pellegrinaggi da parte dei monaci cinesi, tra i quali il più famoso fu quello di Xuanzang (596-664 c.ca) che compì un fantastico viaggio in Occidente, raccontato nel Xiyuji (“Memorie delle regioni occidentali” o “Viaggio in Occidente”, ma meglio conosciuto come “Lo scimmiotto” (13)).
Dal punto di vista dottrinale, fu proprio durante quest’epoca che il buddhismo vide la formazione di numerose scuole o sette che presero il nome di zong (14) (letteralmente “tempio ancestrale”) o pai (“ramificazione”). Di queste le più importanti furono: la scuola della Terra Pura (Jingtu) che si diffuse prevalentemente a livello popolare, la scuola Tiantai, la scuola della Ghirlanda Huayan e la scuola Chan.
 
Il buddhismo in CinaVerso la metà dell’VIII sec. una disastrosa guerra civile mise in ginocchio le finanze della dinastia Tang che pensò di espropriare i terreni del sangha. Inoltre l’importanza del sistema degli esami confuciano (15), che si presentava come l’unica via per ottenere una carriera pubblica, indicava un chiaro ritorno alle origini tradizionali del pensiero cinese: il confucianesimo. L’imperatore Wuzong (841-849 d.C.) iniziò una severa politica repressiva nei confronti del clero buddhista che culmino nell’845 d.C. con l’ultima e più cruenta persecuzione. Ordinò la secolarizzazione di tutti i monaci e le monache, la distruzione di tutti i templi e dei monasteri e la confisca di tutti i terreni e dei beni materiali del clero. La campagna repressiva durò poco, il successore di Wuzong revocò le misure restrittive e il sangha buddhista sopravvisse. Ma ormai si era innescato un processo culturale di reversione: la fase di crescita era terminata.

Nell’XI e XII sec. l’ideologia dominante fu il neoconfucianesimo che reinterpretava in chiave metafisica e ontologica il nucleo originario del confucianesimo. Il suo massimo esponente fu Zhu Xi, il quale criticò aspramente il buddhismo, accusandolo di non credere che l’uomo potesse perfezionarsi all’interno della società e del mondo terreno. Molti letterati, che prima erano attratti dal buddhismo, finirono per rimanere affascinati dal neoconfucianesimo e perdere la loro fede iniziale. Per questo motivo, delle numerose scuole buddhiste cinesi, ne restarono solo due: la scuola della Terra Pura come forma di devozione popolare e la corrente Chan che, a causa della sua natura non dogmatica, continuò a esercitare una certa attrattiva nelle classi medio-alte.

Le ultime due fasi del buddhismo in Cina: l’epoca moderna e contemporanea

L’epoca moderna si aprì nel 1850 con la sanguinosa rivolta del Taiping, ispirata a valori pseudo-cristiani, che condannò e combattè ogni genere di ‘superstizione’ compreso il credo buddhista. Dopo questa repressione, il buddhismo continuò il suo lento declino e subì notevoli colpi durante la Rivoluzione Culturale (1966-1969).
Negli ultimi anni, il miglioramento delle condizioni economiche associato a una politica più ‘liberale’, ha permesso un ritorno alla fede e alle cerimonie, sia a livello popolare che monastico: il buddhismo è attualmente la religione più diffusa in Cina.

Rita Barbieri

 

(1) Parola del Buddha. Sono insegnamenti rivelati.
(2) La corrente Huanglao rappresentò, in epoca Han, una fusione tra il taoismo filosofico (quello antecedente alla divinizzazione di Laozi nel II sec. d.C.) e il legalismo (filosofia che poneva la legge al di sopra di tutto).
(3) Per il buddhismo indiano il fine ultimo dell’uomo è la liberazione dal samsara (ciclo delle rinascite) per il quale un essere torna a nascere nel mondo. Il samsara è vissuto negativamente, come una prigione nella quale si è costretti perché è difficilissimo rinascere in forma umana (l’unica che permetta la liberazione è il nirvana, cioè il ricongiungimento finale con l’assoluto). Nel primo sermone il Buddha esplica le 4 nobili verità dell’esistenza: la malattia dell’esistenza è insita nel dolore della stessa, per cui la vita è dolore. La radice di questo dolore è la brama, il desiderio insaziabile (trsna, letteralmente “sete”) che spinge l’essere ad agire. Quando l’essere agisce produce karma (letteralmente “azioni”), che è descritto come un frutto che matura lentamente ma che, indipendentemente dal fatto che sia buono o cattivo (a seconda dell’azione che l’ha determinato), ci spinge a rinascere per raccoglierlo. La malattia dell’esistenza è curabile con l’estinzione del desiderio e della passione e, per far questo, bisogna seguire l’ ”ottuplice nobile sentiero” in cui sono ricondotti i vari metodi per l’autocoltivazione.
(4) La scuola Mahayana, o scuola del Grande Veicolo, è quella che si diffonde in Cina e si contrappone alla scuola Hinayana (o scuola del Piccolo Veicolo).
(5) Rivela l’insegnamento dei ‘giusti mezzi’: il Buddha sa parlare vari linguaggi perché i suoi discepoli hanno varie capacità di comprensione, ma tutti alla fine giungono allo stato di Buddha.
(6) Secondo questo sutra, ogni essere vivente ha la possibilità di diventare Buddha e quindi di salvarsi.
(7) Corpus della Perfezione e della Saggezza, testi fondamentali del Buddhismo mahayanico.
(8) Letteralmente significa “assenza di vento”, indica la liberazione dal ciclo delle rinascite (samsara), in cui un essere perde la propria individualità e si ricongiunge con l’assoluto che è il Buddha.
(9) Madhyamika o Via Mediana, sviluppa il concetto di vacuità universale per cui tutto è impermanente, transitorio, in costante movimento e quindi vuoto di natura individuale.
(10) Secondo questa interpretazione, l’illuminazione non è frutto di studio accurato o di lunghe meditazioni, ma è appunto immediata e improvvisa, indescrivibile a parole.
(11) Il monarca universale è l’incarnazione di un bodhisattva, la manifestazione terrena del Buddha.
(12) Emanazione del Buddha futuro, figura inviata sulla Terra per favorire il risveglio di altri esseri umani.
(13) Dal nome del personaggio principale.
(14) Il termine zong, apparteneva originariamente alla terminologia rituale del sistema familiare e indicava una sorta di linea ancestrale. Il significato venne poi traslato fino ad indicare una specie di “filiazione spirituale” tra il maestro e il discepolo, in cui il maestro tramandava una particolare dottrina. L’appartenenza agli zong non era esclusiva, infatti si poteva appartenere indifferentemente a una o più scuole. Il concetto di “filiazione spirituale” fu poi ripreso ed enfatizzato dalla corrente Chan con la lista dei patriarchi.
(15) Si trattava di una verifica della conoscenza approfondita dei Classici confuciani, sulla base della quale si valutava l’effettiva preparazione del candidato che, superando l’esame, poteva diventare un funzionario mandarino e fare carriera nella burocrazia statale.

 

Ipse dixit

La Cina di cui mi parlava non era quella del primo arrivato né tanto meno quella delle riviste patinate. Era un mondo perduto di cui lui aveva trovato la chiave... Era il paese dell’alcol e dei deserti di ghiaccio, della sabbia infuocata e dei Buddha viventi, delle strade accidentate e delle luci velate, un mondo in cui ci si poteva perdere e mai più ritrovarsi.

Luc Richard, Viaggio nella Cina proibita

 

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