LA LINGUA CINESE
Il cinese appartiene al ceppo delle lingue sinotibetane comprendenti 4 gruppi: le lingue tibeto-birmane, le lingue miao-yao, le lingue tai e il cinese.
Si tratta di lingue estremamente diverse tra loro, ma che condividono tre importanti caratteristiche strutturali di base: sono tutte lingue isolanti (cioè prive di flessioni e con unità lessicali invariabili), monosillabiche ma soprattutto sono lingue a toni.
Il tono è definito come l’andamento melodico che contraddistingue un certo morfema: ogni sillaba cinese è dotata di un certo tono, segnalato da un diverso accento posizionato sulla vocale.
Convenzionalmente i toni del cinese standard sono quattro, a cui se ne può aggiungere un quinto (che non prevede un’inflessione vocale specifica) tipico per esempio delle particelle grammaticali.
Il tono è un elemento distintivo della sillaba cinese: ciò significa che una certa sillaba, letta con un certo tono corrisponde a un determinato carattere e a un determinato significato mentre, se viene letta con un altro tono, corrisponde a caratteri e significati diversi. Questo può dare luogo a frequenti fraintendimenti e errori, soprattutto dato che in alcuni dialetti (in special modo in quelli meridionali) il numero dei toni riprodotti è di 6 o 7.
Andamento vocale dei toni della lingua cinese
La lingua cinese oggi
La lingua cinese nazionale attualmente parlata, putonghua, (lett. ‘lingua comune), è il frutto di compromessi storici e linguistici che hanno portato solo a metà degli anni ’50 del XX secolo alla codificazione e alla diffusione di uno standard linguistico: il così detto cinese ‘mandarino’.
Il cinese oggi insegnato nelle scuole, usato nelle comunicazioni ufficiali e nel mondo del lavoro è una lingua basata sul dialetto di Pechino che risente però, soprattutto nell’applicazione pratica, di varie influenze e contaminazioni da parte dei numerosi dialetti presenti in maggior parte nel Sud della Cina.
Infatti, dei 7 gruppi dialettali attualmente conosciuti, ben 6 sono localizzati nel Sud. Si tratta di dialetti tuttora molto diversi rispetto allo standard sia per quanto riguarda la pronuncia, sia per quanto riguarda il lessico ed è proprio in base a questi elementi che vengono tradizionalmente suddivisi nei seguenti gruppi:
- Mandarino o dialetti settentrionali (parlati nel nord, nord-ovest);
- Wu, parlato nel Zhejiang, include lo Shanghainese;
- Xiang, parlato nell’Hunan;
- Gan, parlato nel Jiangxi;
- Kejia, parlato nel Guangdong e a Taiwan;
- Cantonese, o Yue, parlato in Guanxi e Guangdong;
- Min, parlato in Fujian, Guangdong, Taiwan.
Perfino attualmente la comunicazione tra due cinesi provenienti da zone diverse è piuttosto difficile se i due non parlano putonghua: questo a causa della vastità geografica della Cina che, per molto tempo, ha favorito la nascita e l’evoluzione di lingue che si sono sviluppate in maniera del tutto indipendente e autonoma.
Ma, se per quanto riguarda la comunicazione orale mancava tradizionalmente un codice comune, questo non avveniva invece per la comunicazione scritta. Infatti il cinese è definito come una lingua logografica, cioè una lingua in cui a ogni carattere (nome più corretto per riferirsi a quelli che correntemente si chiamano ‘ideogrammi’) corrisponde una sillaba e un significato specifico: ogni carattere è quindi, in linea di massima, una parola.
I caratteri non contengono nessuna indicazione della pronuncia e questo fa sì che, esattamente come avviene per esempio con i numeri arabi, indipendentemente dalla lettura il carattere sia unanimemente compreso. Infatti se scrivo la cifra 1 e anche il mio interlocutore conosce questo simbolo, ne capirà comunque il significato a prescindere dalla lettura data. Per questo motivo la scrittura ha svolto una grande opera di aggregazione: un testo scritto è univocamente comprensibile indipendentemente dal dialetto parlato.
Anche la scrittura però ha avuto una storia piuttosto complessa e variegata. Le prime attestazioni della comparsa dei caratteri risalgono al V° millennio a.C., ma bisogna attendere l’Epoca Shang (XIV-XI sec. a.C.) per avere il primo sistema di scrittura organico. Inizialmente si trattava di simboli e/o disegni stilizzati usati per registrare date, eventi, nomi ma successivamente vennero impiegati anche per indicare concetti e idee.
Le prime testimonianze archeologiche di un sistema di scrittura sono le ossa oracolari: si tratta di ossa di bovini o gusci di tartaruga che venivano utilizzati per le pratiche divinatorie. Le ossa venivano pulite, lucidate e sulla loro superficie veniva inciso un breve testo che prevedeva il nome del sovrano o del committente e la domanda a cui si voleva risposta. Successivamente l’osso era esposto al fuoco (piromanzia) e il divinatore interpretava le screpolature così create, emettendo il responso.
Con l’avvento della dinastia Zhou (c.ca 1100-256 a.C.), questo sistema venne soppiantato da altri e la scrittura cominciò a essere impiegata anche in altri ambiti, ad esempio per la redazione degli Annali delle case regnanti. È infatti proprio a partire dall’epoca Zhou che nasce la letteratura cinese (wenxue) intesa prevalentemente come strumento educativo: i primi testi letterari sono opere storiche, cronache dinastiche e testi filosofico-religiosi.
I testi venivano redatti con uno stile letterario alto (wenyan), inizialmente abbastanza simile alla lingua parlata, ma che in seguito si cristallizzò fino a diventare una lingua modello, uno standard letterario a cui ci si doveva attenere anche se non aveva più nessuna aderenza con la lingua parlata effettivamente.
Questo esasperò la differenza tra la lingua orale e la lingua scritta e aumentò la separazione tra coloro che sapevano scrivere e coloro che invece no. Le persone che per ceto sociale avevano accesso all’istruzione erano avviate alla carriera burocratica: potevano aspirare a diventare il ‘letterato-funzionario’ che viveva e lavorava alla corte dell’imperatore. L’accesso difficoltoso e limitato ai testi scritti diventò, oltre che indice della cultura del singolo, anche una delle cause della forte dipendenza tra potere politico e scrittura.
Proprio a causa della difficoltà del wenyan, diventato con il passare del tempo una sorta di lingua artificiale d’imitazione impossibile da leggere e comprendere, l’istruzione e la lettura erano sempre più riservate solo a un’elite ristretta, mentre la maggioranza delle persone restava analfabeta e usava solo il proprio dialetto. La comunicazione tra le persone delle diverse parti della Cina era effettivamente estremamente difficile.
Questo si manifestò in maniera evidente nel 1840, anno in cui si scatenò la Prima Guerra dell’Oppio e in cui si verificò un forte impatto con la cultura occidentale: per la prima volta, a causa delle oggettive inefficienze, si avvertì il problema dell’inadeguatezza della lingua.
Nacque quindi la ‘questione linguistica’: un moderno Stato doveva avere una lingua nazionale unificata, codificata e conosciuta da tutti. Soltanto con la fine del sistema imperiale (1911) però, la questione venne affrontata seriamente e si cominciarono a proporre delle soluzioni che sarebbero culminate poi nella formazione del putonghua.
La nuova lingua comune doveva avere un’unica norma fonetica, un sistema di trascrizione alfabetica che permettesse di mediare tra il carattere e la pronuncia e uno stile letterario più adatto ai tempi e più semplice da apprendere.
Per quanto riguarda la pronuncia fu presa come norma quella del dialetto di Pechino, dato che le ultime due dinastie avevano avuto sede in quella città (tradizionalmente si adottava la pronuncia della capitale in cui risiedeva la dinastia regnante). Nel 1958 inoltre, dopo numerosi studi e tentativi, si codificò infine il pinyin: sistema di trascrizione fonetica del carattere in alfabeto latino, usato come ausilio didattico per l’insegnamento della lingua.
Nel 1919 invece nacque un importantissimo movimento letterario (Movimento del 4 maggio) che promuoveva l’impiego di uno stile letterario più semplice al posto dell’ormai obsoleto wenyan: il baihua o lingua piana. Il baihua era nato in epoca Song (960-1279 d.C.) come stile scritto basato sulla pronuncia del nord e impiegato per la letteratura d’intrattenimento: prosa vernacolare, narrativa, teatro. Tra i promotori di questo stile figurano personaggi di spicco della letteratura cinese moderna come Hu Shi, Lu Xun e Chen Duxiu:
(...) In quest’editoriale Chen Duxiu dice apertamente che si doveva costruire una letteratura nazionale semplice e espressiva per sostituirsi a una letteratura aristocratica, elaborata, adulatrice. Si doveva costruire una letteratura realista, fresca e sincera per sostituirsi a una letteratura classica, vecchia e eccessiva. Si doveva creare una letteratura sociale, chiara e popolare per sostituire la letteratura elitaria, astrusa e oscura. (...) La letteratura cinese era stata sempre concentrata nelle mani di letterati aristocratici, classicisti e eremiti che si esprimevano in modo oscuro e pedante. (...)
(trad. Rita Barbieri)
Queste nuove concezioni sulla lingua e sulla funzione educativa della letteratura vennero riprese e applicate soprattutto durante il periodo maoista: nei famosi «Discorsi sull’Arte e sulla Letteratura», che si tennero a Yan’an nel 1942, Mao affermò che l’arte e la letteratura avrebbero dovuto «servire il popolo e il socialismo» (wei renmin fuwu, wei shehuizhuyi fuwu).
A partire dagli anni ’50 in Cina si promosse anche una campagna di alfabetizzazione delle masse e, per facilitare ulteriormente l’apprendimento, si provvide in seguito anche alla semplificazione dei caratteri (i caratteri classici o tradizionali sono ancora in uso a Taiwan, Hong Kong e in alcune zone del Sud della Cina).
Il cinese che studiamo e conosciamo oggi è quindi il risultato di una lunghissima evoluzione storica e linguistica, ancora in atto.
Rita Barbieri
Ipse dixit
L'operaio che vuol fare un buon lavoro, comincia con affilare i suoi strumenti.
Confucio, 551-479 a.C.